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È «gattò» o «gateau»? Facciamo chiarezza

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Era il 2017, avevamo appena aperto il nostro locale in Via alla Porada 20, ed eravamo al lavoro sui primi menù da proporre ai futuri clienti. In uno di questi decidemmo di inserire un piatto “di recupero” tipico della tradizione culinaria italiana, ma le cui origini straniere sono ancora evidenti già nel nome: il gattò – o gâteau.

 

A Napoli si mescolano storia e tradizioni, e nasce il gattò

Insieme al piatto, all’epoca abbiamo pensato di offrire anche il racconto della ricetta, in una nota a margine del menù. Un modo per rendere omaggio a questa preparazione così piena di Storia e tradizione.

Il gattò, un “pasticcio salato” a base di patate annoverato tra i piatti di recupero della tradizione italiana, è frutto di una riuscita contaminazione culinaria tra gli Asburgo e i Borboni avvenuta nel Sud Italia. Nelle cucine napoletane i soufflés, le mousses e gli altri piatti d’oltralpe furono liberamente reinterpretati e il gâteau (che in francese vuol dire torta, dolce o salata) non fu da meno. Patate, salame e formaggio sostituirono i sapori semplici e raffinati della ricetta francese, rendendolo un piatto unico, da reinterpretare in mille varianti. Perfetto per la cucina “di recupero”.

 

La rivincita delle pommes de terre in cucina parte dalla Francia

Il gâteau francese, nella versione salata, era una torta di patate tipica della zona di Allier, nella Valle della Loira, cucinata con soli quattro ingredienti: patate, sale, pepe e burro. Si serviva come antipasto o contorno, e nel Settecento rappresentava l’avanguardia culinaria, dal momento che l’uso delle patate in cucina era la grande novità dell’epoca. L’elevazione delle pommes de terre ad ingrediente meritevole di essere servito sulle tavole dei francesi si deve all’insistente opera di convincimento ed informazione portata avanti da Antoine Augustin Parmentier (1737-1813), agronomo, igienista e nutrizionista francese. Nel 1789 Parmentier riuscì finalmente a riscattare il tubero pubblicando il “Traité sur la culture et les usages des pommes de terre, de la patate et des topinambours”, opera in cui illustra gli utilizzi della patata e offre una nutrita serie di ricette per cucinare piatti su misura per ogni esigenza.

Patate per ricetta gattò blog

 

Ma quindi parliamo di gattò o di gâteau?

Non abbiamo ancora risolto il dilemma principale: bisogna dire “gattò”, alla napoletana, o “gâteau”, alla francese? Chi non si è mai posto questa domanda? Per rispondere ci siamo fatti aiutare dal divertente racconto di Pino Imperatore, tratto dal romanzo “Questa scuola non è un albergo” (Giunti, 2015). Vi bastano due minuti per trovare la risposta.

Pino Imperatore, Questa scuola non è un albergo

Mazzone ha aperto una credenza e il frigo e ha tirato fuori un po’ po’ di roba: patate, latte, burro, salame, sugna, pangrattato, provola affumicata, mozzarella, uova sode, parmigiano grattugiato, sale e pepe, prezzemolo tritato. Più una pentola, uno schiacciapatate, una teglia e una grossa ciotola:

«Allora, avete capito che cosa dobbiamo preparare?» ha chiesto.

Pinuccio ‘o Scienziato ha risposto per primo: «Un gâteau di patate!»

Il professore ha fatto di no con un dito. «Non è esatto, Caradente. Non è un gâteau ma un gattò. Si pronuncia proprio così, alla napoletana. E vi spiego il motivo storico. Nel 1768 Ferdinando IV di Borbone sposò l’arciduchessa Maria Carolina d’Asburgo, che così divenne regina di Napoli» […] «Maria Carolina aveva gusti francesi, e fece arrivare a corte alcuni cuochi d’Oltralpe. Li chiamava monsieurs, ma i napoletani trasformarono l’appellativo in monzù. Questi maestri cuisiniers portarono nella nostra città le loro conoscenze, e come spesso avviene in casi del genere, dalla commistione fra elementi “stranieri” e usanze locali nacque un piatto completamente nuovo, il gattò, che ha poco a che vedere con la torta francese gâteau se non per la storpiatura del nome.»

«Prufesso’, ma secondo voi è meglio ‘o gattò o ‘stu gâteau?» ha domandato Bombolone.

«Sono buoni tutt’e due. Il gattò lo conoscete bene, il gâteau potrete provarlo il mese prossimo in Francia. A me piace quello al cioccolato: una delizia».

La conclusione di tutta questa ricostruzione è che, comunque si preparino e comunque si pronuncino, sono buoni tutt’e due.

 

Andrea Camilleri e il gattò come “oggetto magico”

Nonostante il buon sapore e la preparazione così rustica e conviviale, non tutti i gattò son cucinati per allietare il palato. È il caso di quello preparato dal Commissario Montalbano e dall’ispettore Fazio, nel romanzo di Camilleri “Il cuoco dell’Alcyon” (Sellerio, 2019).

Montalbano, nei panni del cuoco della goletta Alcyon, e l’ispettore Fazio, anch’egli a bordo e in incognito, hanno il compito di preparare la cena per l’equipaggio. Il Commissario ha deciso che la portata principale (nonché l’unica e un po’ “magica”) dev’essere «un gattò di patati». I preparativi per la ricetta cominciano intorno alle quattro e mezza, poiché si tratta di «’na cosa longa». Dalla cambusa, Fazio porta un sacco di patate, che sbucciano e tagliano a fette. Una volta lessate, con un “pestello” Montalbano le riduce «a ‘na speci di pasta». Per completare la ricetta, Fazio porta dieci uova, un pacchettino di sale e uno di zucchero – che zucchero non è, ma un ingrediente che permetterà a Montalbano e Fazio di venire a capo del caso a cui stanno lavorando. I due intanto continuano a lavorare al gattò. Metà della pasta di patate ottenuta viene stesa su due teglie da forno, e a questo punto è la volta del ripieno.

Andrea Camilleri, Il cuoco dell'Alcyon

 

Supra alla pasta di patati ci ficiro un ripieno di fontina, parmigiano grattato, abbunnanti prosciutto cotto e aulive. Lo cummigliaro col rimanenti della pasta. Po’ il commissario si fici portari autri ova e ci sparmò supra sulo la chiara.

«A cociri ci voli ‘na mezzorata» fici Mondalbano. «’Nfornamo alle setti e vinticinco. Piccamora lassamolo arriposari».

 

E questa è la ricetta del gattò di patate “magico” che aiuterà Montalbano e Fazio a portare a termine l’indagine sull’Alcyon.